Najwan Darwish
Più nulla da perdere
Traduzione di Simone Sibilio
Il Ponte del Sale, 2021
di Valentina Balata
02.05.2022
Dopo una Sedia sul muro di Acri, prima raccolta poetica dello scrittore palestinese tradotta in italiano dal Centro studi Ilà e presentata nel primo numero di Arabesque, torniamo a parlare di Najwan Darwish a pochi mesi dalla pubblicazione della raccolta di poesie Più nulla da perdere, edizioni Il Ponte del Sale. Pubblicata per la prima volta in lingua inglese nel 2014 con il titolo Nothing More to Lose, la raccolta fa parte di un’opera più vasta dal titolo originale Istayqazna marratan fi al-ganna (una volta ci svegliammo in Paradiso), pubblicata a Gerusalemme nel 2020.
Tra le pagine delle sette sezioni che compongono la raccolta, che raccolgono versi scritti tra la fine degli anni novanta e il 2013, si alternano luoghi e visioni di una terra ferita, tradita, ridotta a brandelli.
Paradisi nei quali non ci si sente a casa e inferni fin troppo reali, cantati con un groppo in gola e con parole “avvelenate di speranza” da rivolgere ai contemporanei. Una scrittura che sa farsi arma di denuncia davanti ai soprusi subiti ogni giorno. Un canto che si innalza libero oltre i muri fisici e del cuore per stabilire connessioni con gli uomini liberi di tutto il mondo.
Questo rivendicare per sé una voce universale in grado di contenere tutte le ferite, i sogni, le spinte creatrici di popoli vicini e lontani, appare chiaro sin dalla prima pagina. La raccolta si apre infatti con un poema in prosa il cui titolo, Carta di identità, richiama alla memoria l’omonima poesia del celebre poeta Mahmoud Darwish e nello stesso tempo sembra volerne essere una nota a margine, un ampliamento, una riflessione sul tema.
“Prendi nota
sono arabo
carta di identità numero 50.000″
scriveva Mahmoud Darwish nell’urgenza di dover radicare e presidiare la propria esistenza, declinata nei mille volti del popolo palestinese. Di questo stesso popolo si sente parte Najwan Darwish, ma il suo sguardo lo porta a cogliere echi e a intessere intrecci e legami nel tempo e nello spazio, ritrovando l’unità di un patrimonio culturale e umano che gli inganni della Storia hanno diviso e smembrato.
“Non c’è un altro luogo capace di resistere ai suoi invasori come quello del popolo a cui appartengo e non c’è uomo libero che non sia mio parente, non c’è un solo albero o una sola nube a cui non debba qualcosa. […]
A casa ho una finestra aperta sulla Grecia, un’icona che indica la Russia, un buon profumo eterno che viene dal Hijaz
e uno specchio: e ogni volta che mi vedo riflesso, mi ritrovo immerso a primavera nei giardini di Shiraz, Isfahan e Bukhara.
E se si è meno di questo, allora non si è arabi”.