Rajab Abuhweish
Il mio solo tormento
Canto da El-Aghelia
Fandango Libri, Roma 2022
pagine 80, € 12,00
di Jolanda Guardi
14.03.2022
Il mio solo tormento è un poema in versi costituito da 30 stanze che descrive la situazione dei prigionieri nel campo di concentramento italiano di Al-Aghelia negli anni ’30 e soprattutto descrive le atrocità commesse dagli Italiani dopo l’occupazione della Libia. Composto inizialmente in forma orale e poi messo per iscritto, si deve alla “penna” di Rajab Abuwheish, appartenente alla stessa gente di Omar Al-Mukhtar, che fino all’ultimo ha combattuto per la sua terra e il suo popolo. Il poeta viene a sapere della morte – per impiccagione – del condottiero libico mentre è internato e questa è l’occasione per la composizione del testo. Oltre a essere una testimonianza delle torture inflitte al popolo libico, Il mio solo tormento è anche interessante dal punto di vista linguistico – è in dialetto chergaoui dell’Est della Libia – e da quello della struttura, perché composto in versi liberi. Il titolo originale, che prende spunto dall’incipit di molte delle stanze è, ma bi marad ghayr dar al-aghila con l’indicazione del campo di concentramento come marad e cioè una malattia che affligge sicuramente il corpo, ma soprattutto lo spirito. Questo testo, che può essere considerato come un elogio funebre per la morte di Al-Mukhtar, è tuttavia anche un messaggio politico, perché testimonia di come i libici vivevano l’invasione italiana. In diverse regioni arabe, durante il colonialismo, del resto, la composizione poetica in lingua locale è stata utilizzata come mezzo per veicolare contenuti sì autobiografici come in questo caso, ma anche messaggi politici grazie alla struttura formulaica che facilita la memorizzazione e alla difficoltà da parte del colonizzatore di comprendere le lingue locali. Riguardo alla Libia, poi, la storia della colonizzazione italiana vista dal colonizzato si è fatta soprattutto attraverso narrazioni orali; non è un caso che, all’indomani dell’indipendenza, il governo libico abbia formato un gruppo di ricercatori alla raccolta delle testimonianze orali sotto la direzione di Ian Vansina, considerato all’epoca il massimo esperto di tradizioni orali. Grazie alla raccolta delle testimonianze, rese in seguito disponibili in una serie di volumi pubblicati patrocinate dal Centro di ricerca sulla resistenza libica, possiamo accedere a un vasto patrimonio poetico – un volume raccoglie anche le testimonianze di donne poeta – e anche esperienziale che fornisce una visione alternativa dell’esperienza libica.
Peccato che in Italia esista ancor oggi una certa omertà riguardo alla presenza italiana in Libia; per molti anni la proiezione del film Omar Al-Mukhtar, con Anthony Queen come protagonista, è stata vietata e film a carattere documentario sui campi di concentramento e le operazioni di pulizia etnica perpetrate dai soldati italiani sono ancor oggi visibili solamente in circuiti ristretti. La pubblicazione di questo volumetto allora, potrebbe servire per finalmente fare un po’ i conti con il nostro passato e al contempo risulta essere estremamente attuale se si pensa ai campi di concentramento nella Libia attuale, dove la responsabilità degli italiani è centrale. Un libro da leggere assolutamente.